Dottoressa ho sognato … un sito archeologico

Sono su un promontorio circondato dal mare: un’isola? Forse è giugno: l’atmosfera è di inizio stagione. A giudicare dalla foschia, devono essere le prime ore del mattino; infatti i colori della natura non sono nitidi. Mi guardo intorno. Sono avvolta da un paesaggio brullo e aspro, che concede solo qualche macchia di colore verde intenso e riposante. Sono sola, non c’è anima viva in giro. Lasciata la casa in cui abito – casa di vacanze? – vado in esplorazione. Prima, però, cerco di memorizzare alcuni punti di riferimento, tipo panorami scorci inquadrature particolari, per essere certa di ritrovare la strada del ritorno. Come Pollicino. L’idea di perdermi mi spaventa molto e mi accade puntualmente. Mentre percorro un viottolo impervio a picco sul mare, sento che la voglia di avventura è sopraffatta dalla preoccupazione. Ritrovare l’ultimo tratto di strada, quello, che mi fa dire “sono a casa”, è sempre un terno al lotto. Il fatto è che riesco a rilassarmi davvero solo dopo averlo avvistato. Questa volta, inaspettatamente, accade che lo trovo sbarrato da un cancello pesante. Di quelli che si aprono a compasso. Il cancello è presidiato da due uomini strani. Mi fanno pensare ai “bravi“ di don Rodrigo. Piccoli di corporatura, occhi scuri, capelli neri e lunghi, barba folta. E un vitino da vespa. Strano, non è unna caratteristica maschile! – penso. Osservandoli meglio, mi accorgo che indossano una tuta scura da benzinaio, a sbuffo intorno alla vita, decorata con inserti vivaci. Chiedo loro chi siano e soprattutto cosa stiano facendo lì. Mi rispondono in modo asciutto e sgarbato: “Di qui non si può più passare!”. Io però non mi arrendo, insisto per avere spiegazioni e alla fine mi chiariscono che quello che si vede oltre il cancello è un sito archeologico di grande valore, che va rispettato e restaurato per bene. Non alla cazzo! – cito testualmente. Non capisco se devo lasciare un obolo per entrare a visitarlo. Tuttavia sento di essere disposta a farlo.

Di questo sogno mi colpiscono l’assenza di personaggi, eccezion fatta per i due strani guardiani del cancello, e i numerosi dubbi del protagonista. Si trova su un’isola? È mattina presto? È in vacanza? Troverà la strada di casa? Perché il cancello? Chi sono i tizi che lo presidiano? Dovrà pagare per entrare nel sito archeologico? Sembra tutto in divenire, come in un racconto di cui non è stato ancora scritto il finale. Emerge il tema della ricerca. Chi sono io? – sembra chiedersi il sognatore. Quesito non facile, perché ti fa sperimentare l’incertezza, l’assenza di punti di riferimento, la solitudine che rendono il cammino impervio. Ma se ti fidi della voce interna che ti suggerisce di non demordere, può accaderti una cosa sorprendente e inaspettata: la scoperta di un luogo di grande valore, antico e prezioso: il Sé. Rappresentato nel sogno dal sito archeologico. Dopo un lungo peregrinare, il sognatore viene a contatto con la sua parte più autentica. Quella che lo rende unico e irripetibile e che per questo merita cura e rispetto, come suggeriscono i due guardiani che lo presidiano. Due parole su questi strani custodi, che sono poi parti del protagonista. Mi colpisce perché rappresentano il maschile e il femminile fusi insieme: barba e vitino da vespa. Alleati del sognatore e vestali del tempio del Sé?

Pillole di teoria. Abituiamoci a raccontare il sogno al presente e in prima persona: ciò facilita l’immersione nel sogno e il recupero di particolari che possono esserci sfuggiti. Non ha senso interpretare un sogno in assenza del sognatore stesso: noi mettiamo a sua disposizione associazioni, emozioni, immagini suscitate dal suo racconto, ma è il sognatore che sa cosa gli è utile e cosa no; cosa gli risuona dentro, illuminando il suo racconto misterioso. Le domande da porgli possono essere: come ti sei sentito al risveglio e come ti senti ora che lo stai raccontando? quando hai fatto questo sogno? Conosci il luogo in cui si è svolto? Era giorno o notte? Che stagione era? Cosa ti ha colpito particolarmente del sogno? Ci sono stati dei cambi di scena ovvero delle cesure? – che segnalano lo spostamento in luoghi diversi del proprio mondo interno. Lo scopo è dipanare i grovigli per approdare ad una narrazione dotata di senso. Per il sognatore, s’intende!



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