Dottoressa ho sognato … una barella

Sono in ospedale. Sto percorrendo un corridoio buio dalle pareti verdoline: verde ospedale, per l’appunto. Sento rimbombare i miei passi. Verso il fondo, nella penombra, scorgo una barella su cui è disteso mio nonno. O meglio, quella persona non gli assomiglia affatto, ma io so per certo che è mio nonno. Il corridoio è immerso in un silenzio assordante. Non c’è anima viva a parte noi due. Nonostante il nonno sia intubato, muove le gambe, penzoloni, perché vuole alzarsi. Temendo che si faccia del male, cerco aiuto. Intravedo una porta socchiusa, da cui proviene una luce fioca. Mi accosto, sbircio dentro e vedo un medico e un’infermiera che stanno medicando un paziente. Busso delicatamente per attirare la loro attenzione, ma loro non mi rispondono. Si sono accorti di me? Rinuncio e decido di tornare dal nonno. Nel frattempo, però, l’infermiera esce dalla stanza spingendo la barella. Provo a chiamarla, ma nuovamente non mi risponde. Allora urlo. E la voce non mi esce. A quel punto mi sveglio, mentre sto ancora articolando dei suoni. Sono pervasa da una grande angoscia.

Partiamo dal presupposto che i personaggi del sogno sono nostri personaggi interni o, se preferite, nostre voci interne; nostre sfaccettature. In questo frammento di sogno sembra venga drammatizzata sul palcoscenico onirico la mancanza di dialogo. Ad esempio, tra parte maschile e femminile della sognatrice. Rappresentate rispettivamente da nonno e nipote. Che, se ci fate caso, non comunicano tra loro. Ognuno fa come se l’altro/a non esistesse. Il nonno non chiede aiuto ma cerca di alzarsi da solo, nonostante sia impossibilitato a muoversi. E la nipote non lo interpella sul perché voglia farlo. Non si incuriosisce: ma preoccupata, preferisce cercare aiuto altrove. Inoltre sembra esserci un’ulteriore questione ad affliggerla: posso permettermi il lusso di chiedere aiuto o devo fare tutto da sola? Lo deduco dalla scena in cui bussa impercettibilmente alla porta, per attirare l’attenzione di medico e infermiera, che la ignorano. Dapprima sembra sembra rinunciare. Poi invece, facendosi coraggio, ci riprova con più decisione. Urlando addirittura. Ma anche questa volta fallisce, perché la voce non le esce. E questo le genera angoscia.

Pillole di teoria: quando il maschile (la parte che fa) e il femminile (la parte che sa stare in ascolto) dentro di noi tirano da parti opposte, siamo lacerati dal conflitto. Che nel caso della sognatrice sembra essere: chiedo aiuto o faccio da sola? Non solo. I personaggi onirici spesso sono portatori di maschere, sotto le quali si annidano i sognatori stessi o le loro dinamiche interiori. Vi ricordate quando la sognatrice afferma che sulla barella c’è suo nonno, anche se non gli assomiglia affatto? Se proviamo a ripulire il nonno dalla sua maschera, sembra emergere una dinamica interiore che probabilmente appartiene alla sognatrice da sempre. Che sa che quando sta male, deve arrangiarsi da sola. Come nel sogno. Perché se anche chiede aiuto, nessuno l’ascolta. Nessuno le presta attenzione. Un’ultima cosa. Quando nel sogno urliamo ma la voce non esce, probabilmente stiamo osservando con severità di giudizio una mancanza nella quale siamo impantanati, senza esserne del tutto consapevoli. Ma il sogno, che pesca nell’inconscio, ce la segnala. Per questa sognatrice potrebbe essere: sono io quella incapace di chiedere aiuto, pur avendone un gran bisogno. Ricordiamoci che il sogno è ambientato in ospedale, con pazienti intubati o da medicare



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