
23 Feb Jojo Rabbit di Taika Waititi
Il film è un affresco surreale, farsesco e solo in apparenza comico di una Germania sonnolenta di provincia, al tempo della seconda guerra mondiale, il cui intento è deridere ferocemente il III Reich. Ma ci racconta anche cosa significhi essere adolescenti in un contesto in cui la manipolazione ideologica la fa da padrona. Waititi, il regista, ci proietta in un mondo in cui i valori condivisi vengono sovvertiti. Per cui, ad esempio, esiste una gioventù hitleriana i cui affiliati sono dei frugoletti rosei, paffuti ed impacciati, che indossano l’uniforme con tanto di svastica e coltellino e vengono addestrati a lanciare granate durante esercitazioni estenuanti. Mentre i loro capi, nei cui occhi non si ravvisa il minimo brillio d’intelligenza, sono adulti irresponsabili e gaglioffi, vestiti da scout che, nascondendosi pavidamente dietro l’Heil Hitler, si prendono gioco dei più deboli e imbastiscono dialoghi senza senso. Jojo, il giovane protagonista del film, pur ammirandoli in maniera sconfinata, spesso rimane spiazzato dalle loro richieste. Che non collimano col suo senso di giustizia. E vive sulla propria pelle quella che in gergo si chiama “frammentazione di identità”, parente stretta del plagio. Cioè a dire, se a casa ti trasmettono certi valori e il mondo esterno vuole che li calpesti, cosa fai tu che sei piccolo e stai nel mezzo? Certo, imparerai ad elaborare pensieri e opinioni personali. Ma è un processo e richiede tempo. È esattamente quel che accade a Jojo, ragazzino di dieci anni, con pochi amici e la netta sensazione che il mondo gli sia ostile. Che, stufo di essere deriso per la sua presunta mancanza di coraggio, che gli vale l’odioso appellativo di “coniglio”, non potendo confrontarsi col padre che è assente, si sceglie come amico immaginario Adolf Hitler. Che gli promette di rimanere al suo fianco, a patto che non lo deluda mai. Niente male, come ricatto morale. Peccato che sua madre abbia opinioni politiche nettamente diverse dalle sue. Come conciliare allora la richiesta del potente Hitler con l’affetto smisurato per sua madre? Non solo. Jojo scoprirà che entrambi i genitori sono degli strenui oppositori del regime. Infatti il padre è impegnato al fronte nella resistenza e la madre, oltre ad essere una coraggiosa attivista, nasconde in casa Elsa, una ragazza ebrea che ha perso tutto. Casa e genitori. Quando Jojo la scopre, rimane esterrefatto. Non è avvolta da una nube di zolfo, non ha piedi caprini e corna da diavolo e soprattutto non vive aggrappata al soffitto come i pipistrelli; come sostiene la propaganda di regime. Elsa, al contrario, ha coraggio da vendere e sogna di avere una vita davanti, come ogni adolescente. A Jojo la vita chiederà di crescere in fretta. Tuttavia non sarà solo: al suo fianco avrà una nuova amica, che contribuirà a far scricchiolare le sue certezze granitiche. Inutile dire che l’esperienza dell’amicizia è il miglior antidoto contro l’ignoranza e l’odio che da essa scaturisce.
Jojo Rabbit non è un film indenne da sbavature. A tratti arranca, è un po’ didascalico e forse eccessivamente farsesco. Tuttavia ha il grosso pregio di far riflettere. Pur parlando di bambini, non credo sia rivolto ai bambini. Penso piuttosto che il regista usi i bambini come pietra di inciampo perché gli adulti si ricordino che il testimone va passato a loro. Con un comportamento coerente ai valori che vogliamo trasmettere. Uno tra tutti, il sapere. Che credo sia l’unica possibilità di mantenere la barra dritta anche nei momenti storici più insidiosi. Come quello attuale. Segnato da rigurgiti di nazionalismo, complici l’incertezza generata dalla crisi economica e dagli imponenti flussi migratori, che guerre e politiche economiche scellerate hanno contribuito a generare. In cui la demagogia spicciola, il sovvertimento dei principi fondanti lo stato di diritto e la ricerca ossessiva di un nemico da combattere e su cui proiettare le nostre parti oscure, vengono usati come leva per fare proseliti. Chi abbocca? Le persone che, essendo più sprovviste di strumenti culturali, aderiscono acriticamente ai capi popolo di turno.
La storia insegna che queste situazioni si ripetono ciclicamente. Ne parlava già quattro secoli fa Giovanbattista Vico.