La Belle Époque di Nicolas Bedos

Sa di buono questo film di Nicolas Bedos. È originale e nostalgico. E lascia in bocca il retrogusto della migliore Comédie-Française: arguta, scoppiettante e delicata al tempo stesso. Il regista sembra non rassegnarsi all’idea che i sentimenti che ci legano alla persona amata possano mutare nel tempo. Talvolta al punto che l’amore viene spazzato via dall’odio. Come accade a Victor e Marianne, i due protagonisti del film, che vivono una lacerante crisi coniugale da diversi anni. Anni in cui le parole hanno smesso di essere un tramite per trasformarsi in armi di precisione, che sanno esattamente dove colpire per ferire. E poi neanche più quello. Il solco che li divide risuona di un silenzio stratificato e definitivo. Da cui è difficile trovare una via d’uscita. Victor e Marianne sono una coppia di mezza età, spaventata dalla morte senza esserne consapevole. Le loro vite hanno iniziato a divergere perché, per bloccare l’inesorabile scorrere del tempo, sono ricorsi ad espedienti opposti. Lei, psicoanalista senza scrupoli etici, è affamata di futuro, novità e uomini più giovani. E poco importa che siano suoi pazienti. Non solo. Impone a Victor la presenza di pseudo intellettuali e fatui fricchettoni che vomitano luoghi comuni a cene di una noia estenuante. Ed egli si vendica o ritirandosi in un mutismo ostile o assumendo il ruolo del provocatore arroccato fieramente al passato. Quando gli smartphone non esistevano e le conversazioni erano autentiche; soprattutto si svolgevano tra persone in carne ed ossa. Victor ha più di una ragione di essere triste. Negli anni ottanta era un vignettista di successo. Oggi è disoccupato perché il giornale per cui lavorava lo ha licenziato, in quanto ostinatamente refrattario alla tecnologia. A questo punto del film Bedos, mescolando sapientemente desiderio e finzione, fantastica di riavvolgere il nastro delle loro vite, per imbrigliare proprio quell’emozione che faceva battere forte il cuore di Victor alla vista di Marianne; in modo che ogni poro della sua pelle possa catturarla per sempre. Proprio di questo genere di cose si occupa Antoine, giovane regista e imprenditore di successo, desolato per la disgregazione di questa coppia che per lui aveva rappresentato un mito negli anni bui della giovinezza. Antoine dirige la Time Traveller, un’agenzia che ricostruisce con una precisione al limite della maniacalità, ambientazioni di epoche storiche diverse, con tanto di scenografie teatrali, attori e figuranti e copioni fedeli alla realtà, per soddisfare le esigenze dei clienti di turno. Che possono togliersi il gusto di schiaffeggiare Hitler, bere un bicchiere di birra con Hemingway, incontrare Maria Antonietta o sedere al tavolino di un bar di Lione, nel maggio del 1974, e incontrare per la prima volta la donna della propria vita. Come accadrà a Victor. Avendo Antoine un debito di gratitudine nei suoi confronti, gli offre un giro alla Time Traveller, curando personalmente che tutto sia ineccepibile.

Ma basta provare a rivivere un certo stato d’animo per riavvicinarsi alla persona amata? Ne dubito. Forse bisogna imparare ad accettare che le persone che ci sono vicine cambino nel tempo, magari in maniera diversa da come avevamo previsto. Perché una cosa è certa: la vita è cambiamento. Se il nostro umore cambia in una manciata di secondi, figuriamoci cosa accade negli anni. Dunque la vera sfida è trovare un modo diverso per stare insieme, rispettoso dei cambiamenti di ciascuno. E affrontare insieme le difficoltà. Perché lo spavento esistenziale è dietro l’angolo, ma se si è complici, si è più forti. E si ritrova il gusto di vivere.



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