La violenza e il calcio: gli adulti hanno spazio di intervento?

La violenza negli stadi apparentemente stride con il fatto che il calcio è lo sport che più di ogni altro ha ispirato la letteratura. Di calcio hanno narrato Soriano, Camus, Sartre. Forse perché è lo sport che meglio riassume in sé le metafore della vita sociale. Come il bisogno di giustizia, di partecipazione, di visibilità, di passionalità, di conflitto, di faziosità, ma anche di estetica e di romanticismo. Troppo volte però risulta essere uno specchio deformante della vita. La violenza che lo funesta, seppure con modalità e intensità diverse. è un fenomeno tristemente noto. Narrano le cronache che negli anni Trenta gli arbitri venivano inseguiti da tifosi armati di pistola. Che negli anni Cinquanta due città, Legnano e Catania, sono insorte per protestare contro la retrocessione. Che negli anni Sessanta-Settanta numerosi sono stati gli scontri tra tifosi. Tutto questo ovviamente non è consolante. E soprattutto non vuole essere un tentativo demagogico di minimizzare il problema. Sarebbe però poco realistico coltivare la retorica illusoria di eliminare l’emotività, che si traduce in violenza reale e simbolica, da uno sport che richiama ogni settimana un gran numero di persone allo stadio, in una situazione per definizione conflittuale e quindi carica di tensione. Il problema cruciale allora non è eliminare l’emotività, che è una componente ineliminabile e indispensabile della vita, ma come fare per arginarla. Perché sia temperata dalla ragione. Per tentare una comprensione adeguata del fenomeno “violenza negli stadi”, è opportuno tener conto della sua complessità, delle sue numerose sfaccettature. Solo così si evita il rischio di semplificazioni eccessive e banalizzazioni. C’è poi un’ulteriore complicazione. Una cosa è la violenza negli stadi, altra cosa è la percezione che se ne ha. E in questo i media hanno una loro parte di responsabilità. Esiste certamente una violenza sociale nel calcio, dolorosa perché becera. La retorica, però, non si limita a denunciarla, ma va oltre. Si nutre del suo mito.
La violenza legata al calcio sembra essere una miscela “maligna” di almeno tre diversi fattori. Il primo riguarda la natura peculiare del gioco. Il calcio è la rappresentazione rituale di un conflitto di tipo bellico. La metafora dominante è la contrapposizione amico-nemico. Esistono però sport ben più violenti del calcio, come la boxe e il rugby ad esempio, che non eccitano la violenza del pubblico. Come mai? Perché nel calcio la forza fisica è bandita dal campo a vantaggio dell’abilità. Tanto che lo scontro duro tra due calciatori è punito con il fallo. Nel rugby invece l’aggressività è esplicitamente riconosciuta, si consuma solo in modo ritualizzato nell’ambito del gioco e questo la esorcizza. Il secondo fattore è la mediatizzazione del calcio, fenomeno strettamente legato ai nostri tempi. In questo preciso momento storico assistere ad una partita di calcio vuol dire disporre di una ribalta unica per essere visti e apparire, grazie alla televisione che arriva nelle case di mezzo mondo. Questo collude con il bisogno smodato di visibilità da parte di alcuni giovani tifosi, terzo fattore, i quali spesso manifestano una bassa tolleranza alla frustrazione, che può tradursi in una rabbia cieca nel momento in cui si sentono intralciati. Come accade in seguito all’esito sfavorevole di una partita o a decisioni arbitrali non condivise.
E gli adulti? Innanzi tutto dovrebbero interrogarsi sulla smania di visibilità dei giovani, soprattutto di quelli che non hanno strumenti adeguati per chiedere attenzione e ascolto. E non limitarsi a liquidare il fenomeno della violenza negli stadi come la logica conseguenza di una passione ottusa. Questo ovviamente non significa che la violenza debba rimanere impunita. Ma impone una riflessione doverosa su quali valori gli adulti vogliano trasmettere, avviando i giovani allo sport. Smania di successo o voglia di divertirsi, di fare nuove amicizie, di accettare e condividere delle regole in vista di un obiettivo, di assumere un impegno nei confronti della propria squadra?

Bibliografia
Osvaldo Soriano, Fútbol – Storie di calcio, Einaudi 1998



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