01 Giu “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni
Posso affermare che si tratta di uno dei film più coinvolgenti che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi. Oltretutto impreziosito dall’inedita e sapiente recitazione di un Giuliano Montaldo attempato, che indossa i panni di un vecchio poeta, un tempo ricco e famoso, oggi in declino. Il quale, manifestando i primi segni della demenza senile, alterna momenti di confusione a momenti di sorprendente lucidità e sagacia. Questa strana alchimia gli conferisce un’aria malandrina, che contrasta con l’aspetto ieratico della sua persona e con l’eleganza raffinata del suo guardaroba. A Giorgio, questo è il suo nome, viene affiancato d’ufficio il giovane Alessandro, improbabile “damo” di compagnia trasteverino, per passeggiate pomeridiane negli incantevoli parchi di Roma. Il ragazzo, poco più che ventenne, ha la parlata greve ed è un bulletto dedito allo spaccio di fumo. Che frequenta un gruppo di amici perdigiorno, coi quali trascorre ore seduto al tavolino di un bar di quartiere. Tutti tristemente inchiodati al presente, senza un orizzonte temporale né tanto meno culturale. Più per pigrizia che per incapacità, sentendo forte il richiamo della strada. Tuttavia il ruolo di malavitoso di mezza tacca non si addice granché ad Alessandro. Prima di tutto perché è lui il primo a non crederci. Secondariamente, perché è di animo buono. Suo padre, che si spacca la schiena ai mercati generali, è vedovo da molti anni. Ed essendo preoccupato per le sorti del figlio, gli trova questo lavoro che, oltre a levarlo dalla strada, gli fa guadagnare qualche soldo onestamente.
L’idea di far compagnia ad un anziano terrorizza Alessandro. I vecchi gli fanno senso solo a guardarli. Con quelle mani nodose come ulivi. E quella “puzza” di morte, che gli ricorda la finitezza della vita, scuotendolo dal torpore becero in cui affoga ogni giorno. Ben presto, però, Giorgio si rivela una miniera di sorprese. Ama bere e fumare, anche se gli è vietato tassativamente; è uno scaltro giocatore di poker; ama guidare a velocità sostenuta e soprattutto, quando la memoria lo assiste, dimostra di saperla lunga. Agli occhi di Alessandro e dei suoi amici acquista pian piano spessore e tridimensionalità. Ha una storia alle spalle, in cui è stato giovane. Ha amato, non corrisposto, una sola donna, diventando per questo poeta. Perché, come lui stesso spiega, la poesia è il contenitore di un amore che non ha trovato un destinatario. Ogni tanto durante il sonno è percorso da incubi, che talvolta si traducono in delirio di scrittura. Come è accaduto alle pareti marroni dello studio, vergate da veri e propri graffiti, con tanto di mappa del tesoro. Non solo Alessandro, anche i suoi amici diventano di casa. Giorgio li accoglie calorosamente, scambiandoli per due soldati americani che lo hanno tratto in salvo durante la guerra. Giocano a poker, tifano per la stessa squadra. Non fa nulla se si tratta solo di un videogioco. Condividere i ricordi del vecchio, fa sì che i ragazzi li sentano un po’ loro, uscendo dall’anonimato di una vita senza prospettive, dove il futuro è già stato deciso. Non solo. Scopriranno anche che un paio di vecchi scarponi militari può essere prezioso come un tesoro, per il suo inestimabile valore affettivo.
L’ultima sera che si vedono, mentre Alessandro gli prepara le gocce per dormire, Giorgio gli ripete che vuole solo lui come accompagnatore. Lui e nessun altro. Queste parole hanno sul ragazzo l’effetto di un balsamo, che scioglie il grumo di dolore in un pianto liberatorio.
Al funerale di Giorgio, saranno Alessandro e i suoi amici a portare la bara a spalla. Rimpannucciati, pieni di buoni propositi, eternamente grati al vecchio per aver regalato loro, anche se per poco, un sogno.